Donne contro donne: il paradosso del patriarcato interiorizzato.
Sullo sfondo della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, emerge una storia inquietante che svela quanto radicato sia il problema culturale alla base di certi crimini e delle reazioni che li accompagnano.
Dove siamo? Palermo. Quando? Oggi, ieri, domani, qualunque tempo vada bene. Qualunque luogo sia uguale. Nord e Sud. Interno, esterno. Mondo.
Di cosa parliamo? Di una storia che, se non fosse tragica, sembrerebbe un’opera grottesca.
Stupro di gruppo, processo in corso. Ma il plot twist arriva dalle retrovie: le mamme dei giovani imputati – i “bravi ragazzi” (ovviamente, come no?) – non si limitano a difendere i figli. No. Puntano dito, braccio e avambraccio contro la vittima, accusandola di aver orchestrato la trappola subdola per attirare verso la perdizione, la lussuria, il peccaminoso i loro ragazzi, figli del migliore patriarcato all’italiana.
Stuprata e pure puttana, porca e bugiarda.
Un gioco erotico ordito dalla ragazzaccia – giusto? – dove si è più che divertita – è così?.
Il tuo ragazzo, cara mamma – non avrebbe mai voluto finire in un gioco tale, in una sporca ammucchiata perchè non è questo che gli hai insegnato, vero?
Forse è scappata un pò la mano. La lussuriosa, la peccatrice, la libertina, la puttana (no, mamma?) è passata da orchestratrice a quaglia da allenamento: sbranata dai cani.
Ma cosa pretendeva? Li ha provocati, no?
No.
Le madri che tradiscono le figlie
Queste madri sono il prodotto di un sistema dove la vergogna non è per chi stupra, ma per chi denuncia. Sono figlie del patriarcato, di quell’ordine crudele che le ha allevate a essere docili e conniventi, fedeli al mantra della rispettabilità a ogni costo. Anche quando quel costo è una ragazza che piange, quando fortunatamente sopravvive all’orco.
E allora eccole lì, queste madri, magari pronte a marciare con una fiaccola in mano il 25 novembre, per poi tornare a casa e dare della “puttana” alla ragazza che il figlio ha violentato. E perché? Perché è più facile accusare che fare i conti con l’abisso morale.
Figli per bene
“Figli per bene.” Una frase che suona come uno schiaffo in faccia. Cosa significa? Che hai i vestiti stirati e una foto di famiglia felice al mare? Che la tua brava educazione ti rende immune dalle leggi, dal consenso, dall’umanità? Non esistono bravi ragazzi che stuprano, che aggrediscono, che annientano psicologicamente, che umiliano, che minacciano, che manipolano. Esistono persone che hanno un lato oscuro e ne sono governate. E spesso – più spesso di quanto si creda – parte dal tessuto familiare, da un’educazione emotiva inesistente che contribuisce a generare dei cortocircuiti interiori in questi uomini. Normalizzati però da una società in cui ancora prevarica il pensiero maschiocentrico.
Cara mamma, ti prego credimi, qualcosa nell’educazione e nella società è andato orribilmente storto.
Non commento poi le recenti dichiarazioni di un Ministro della Repubblica, avvallato dalla Presidente del Consiglio, che addirittura spazza il terrazzino buttando la propria monnezza in casa d’altri. E poi ci si stupisce per come sta messa la povera Italia sul tema.
Patriarcato 2.0: la complicità femminile figlia e schiava del sistema
Il patriarcato, quel mostro vecchio come il mondo, non ha bisogno solo di uomini per restare in piedi. Ha bisogno di donne: madri, sorelle, amiche pronte a difendere i loro carnefici, perché riconoscono in loro un riflesso delle loro stesse gabbie. Difendere i propri figli, si dice. Ma no, qui non si tratta di difesa: si tratta di adesione entusiasta a una mentalità che colpevolizza sempre la vittima, a una cultura che educa i maschi alla prevaricazione e le femmine al silenzio o, peggio, alla complicità.
Donne e patriarcato: una complicità involontaria ma letale
Non possiamo ignorare che molte donne, cresciute e educate in un sistema patriarcale, finiscono per diventare, spesso inconsapevolmente, complici di quello stesso sistema che le opprime. Queste madri, nel tentativo di proteggere i propri figli, si trasformano in amplificatrici di una cultura che giustifica o minimizza la violenza maschile e trova sempre una giustificazione per chi la perpetra.
È emblematico che questa vicenda emerga a pochi giorni dalla Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, un momento di riflessione che dovrebbe spingerci a fare i conti non solo con chi compie atti di violenza, ma anche con chi, direttamente o indirettamente, li tollera o li giustifica. Il patriarcato non è solo un problema degli uomini; è un sistema che condiziona anche le donne, portandole a difendere l’indifendibile pur di preservare un equilibrio culturale malsano.
Basta
Voglio condividere il teso di una canzone recentissima che è un manifesto verso l’emancipazione, l’evoluzione della specie umana, un baluardo verso l’umanizzazione di questa società. Il testo è chiarissimo. Non possiamo più permetterci di fare sconti a nessuno.
Giulia Mei, Bandiera: il testo
Libera, voglio essere libera
Di non portare o portare un velo
Truccarmi tantissimo
Non depilarmi per mesi, per anni
Libera, voglio essere libera
Di uscire la sera, tornare da sola
Senza la paura
Persino del tipo della spazzatura
Di fare un figlio anche a quarant’anni
Di divorziare, poi risposarmi
Amare un uomo con dieci anni in meno
Che mi vuole bene, bene davvero
Fare l’amore, girare un porno
Cambiare letto pure ogni giorno
E di morire come mi pare
Non massacrata da un criminale
Non dalle pietre di un titolista
Né dalle carte di un penalista
Dai timorati figli di Dio
Che sputano merda e premono invio
Sputano merda e premono invio
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
Della mia fica farò moneta
O simulacro di nuova vita
Delle mie mani farò cantieri
O fragilissimi tulipani
Della mia vita farò una bandiera
Che brillerà nella notte scura
Della mia vita farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
Della mia fica farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
Della mia fica farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
Della mia fica farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
Della mia fica farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
Della mia fica farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
Della mia fica farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
Della mia fica farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
Della mia fica farò una bandiera
Che brillerà nella notte nera
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
(Della mia fica farò una bandiera)
(Che brillerà nella notte nera)
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
(Della mia fica farò una bandiera)
(Che brillerà nella notte nera)
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
(Della mia fica farò una bandiera)
(Che brillerà nella notte nera)
(Ah-ah, ah-ah, ah-ah-ah-ah)
(Della mia fica farò una bandiera)
Libera, prima o poi sarò libera
Quando la guerra sarà finita
Ritorneremo tutte alla vita
Una lezione che non si impara mai
Le donne contro le donne sono il più grande fallimento della lotta femminista. Perché finché una madre insegnerà a suo figlio che è più importante non farsi scoprire che rispettare, e finché un’altra donna accuserà una vittima di “averlo provocato,” non ci sarà evoluzione.
Aiutiamoci a trovare consapevolezza, a rompere le catene. Se io non vedo, dovete, dobbiamo esserci tutte a mostrare che c’è un’altra via.
Il cambiamento non è una fiaccolata o un post su Facebook. È guardarsi allo specchio e ammettere che i mostri esistono e spesso li abbiamo in casa, che non si può educare con la paura del giudizio sociale ma con il coraggio della verità. Fino ad allora, le storie come questa continueranno a ripetersi. E continueremo a indignarci, come sempre, troppo poco e troppo tardi.
Libera, voglio essere libera. Davvero.