Ode alle scritte patriarcali e misogine sui muri di città.
Muro di città. Esterno giorno. Troia infame.
troia /’trɔja/ s. f.
scrofa. bagascia, baiadera, baldracca, battona, bella di notte, buona donna, cagna, cocotte, cortigiana, donnaccia, donna da marciapiede, donnina allegra, etera, falena, gigolette, lucciola, lupa, malafemmina, marchettara, mercenaria, meretrice, mignotta, mondana, passeggiatrice, peripatetica, prostituta, puttana, squillo, sgualdrina, taccheggiatrice, vacca, zoccola, call girl, svergognata, sfasciafamiglie, facile.
E fin qui, siamo ahimè più che vaccinate. Tra le più fortunate, nasciamo già con la siringa anti patriarcato becero e mediocrità intellettuale infilata sul culo.
Ma, infame? …la risposta perfetta, anche in questo caso, è quella che un saggio omosessuale ha sciorinato tempo fa all’ennesimo insultatore omofobo italico, dal linguaggio poco forbito: “Frocio si, ma brutto no!”.
Dobbiamo essere consapevoli di un fatto: diamo sempre troppe colpe alla pochezza culturale, alla mediocrità intellettuale, alla scarsa scolarizzazione, alla vacuità del pensiero maschile frutto di una discendenza cavernicola. Eh no, mie care: a costruire e sostenere per secoli una società patriarcale abbiamo fior fiore di pensatori, non ultimi – nel più vicino Ottocento – Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche.
Il primo ha fatto pagare lo scotto a tutte le donne sulla terra a causa del rapporto conflittuale costruito con la madre Johanna, donna decisamente libera per il suo tempo, accusata dal figlio di esser la causa del suicidio di Shopenhauer senior e aver “trascurato” il piccolo JR mentre sperperava il patrimonio di famiglia. Naturalmente è la donna la causa di tutti i mali familiari, colpevole del decadimento fisico e mentale del primo e della sregolatezza dell’altro. Ma, più di ogni altra cosa, colpevole della sua stessa libertà.
Il nostro AS ha così plasmato il suo pensiero, da li in avvenire, regalando perle assolute di misoginia – tra tutte – la «sciocca venerazione per il sesso femminile, fiore supremo della stupidità cristiano-germanica, che è servito soltanto a rendere le donne arroganti e sfacciate». AS adorava il pensiero orientale e ne condivideva – ovviamente – la poligamia. Ovviamente unilaterale.
L’usanza indù di bruciare sulla pira funebre – alla morte del marito – anche la vedova, beh, veniva più che compresa da AS, considerandola l’ultima vera forma di devozione femminile e di sacrificio verso l’uomo, oltre essere un prezioso deterrente – ovviamente – dello sperperio tipico femminile delle possidenze familiari, ovviamente messe su con dura fatica esclusivamente dall’uomo di casa.
Di lui è bene andare ad approfondire anche L’arte di trattare le donne o Discorso sulle donne (1851). Nel testo AS spende anche parole di elogio verso il mondo femminile: siamo, si, inferiori all’uomo – è chiaro – ma abbiamo anche dei pregi come il realismo e il “concepimento delle cose”, ovvero “non vediamo più di quello che vi è” e tendiamo a raggiungere subito la meta più vicina mentre l’uomo è “cieco a quello che gli è sotto il naso”. Mah.
Il sommo ha elargito inoltre consigli utili su come scegliere la donna adatta (da fecondare, s’intenda) e pillole sull’amore (argomento abbastanza controverso).
A perorare la causa pro homo vi è stato anche lui, il benemerito, il citatissimo, l’ispiratore di altrettanti fini pensatori, Friedrich Nietzsche che, in Al di là del bene e del male (1886), invita gli uomini a pensare alla donna «come sua proprietà, come una proprietà che si può chiudere sotto chiave, come una cosa predestinata alla dipendenza».
Sempre il buon vecchio FN del cosiddetto gentil sesso scriveva: «hanno, nel fondo della loro vanità personale, ancor sempre un loro impersonale disprezzo, per la donna»; «nella vendetta e nell’amore la donna è più barbarica dell’uomo»; «quando una donna ha tendenze dotte, di solito qualcosa non è in ordine nella sua sessualità».
«Quando una donna ha tendenze dotte, di solito qualcosa non è in ordine nella sua sessualità». Friedrich Nietzsche
Concludiamo la carrellata – e ce ne sarebbero ancora di favolose – con un’altra perla: in Così parlò Zarathustra (1883) il nostro FN scriveva: “Vai dalle donne? Non dimenticarti della frustra!”. Nientemeno.
Ammettiamolo: lo vorremmo letterato e illustre. NON È SINONIMO DI GARANZIA, MI SEMBRA CHIARO.
Per non buttare tutto nel secchio dell’indifferenziato – e ne avremmo di ben onde – ricordiamo che il misogino Schopenhauer ci ha insegnato che, anche per l’insulto, ci va comunque una certa finezza: nell’Arte di insultare – una antologia di pensieri taglienti e aforismi sull’intelligenza, la stupidità umana e l’arte della polemica tratta principalmente dai suoi Parerga e Paralipomena, in cui il filosofo tedesco esprime con sarcasmo e lucidità il suo disprezzo per la mediocrità intellettuale – pone in chiaro una cosa sacrosanta, ovvero che per mettere a nudo la miseria intellettuale di certi interlocutori bisogna essere arguti e ironici. Tutto il resto è mediocrità. O maledetta noia, noia, noia, NOIAAA. Per dirla alla moda di quel mascalzone romantico di Califano (misogino e maschilista o politicamente scorretto?).
Anche AS riteneva che l’insulto non è altro che “una calunnia sommaria, senza che ne vengano forniti i motivi”.
E allora torniamo al nostro insultatore da muro cittadino: la troia infame è di sicuro una donna che ti ha negato il possesso e tu sei uno uguale a milioni come te, mediocre, privo di spirito critico, schiavo della tua insicurezza e dominato dalla paura di ciò che non può controllare.
La libertà.